Sentii parlare di omosessualità, per la prima volta, nel novembre del 1975.
Intendo dire che ne sentii parlare in modo serio, senza risolini o battutacce, quelle
che tanto piacciono agli uomini di tutte le età.
Il 2 novembre 1975 era stato ucciso Pier Paolo Pasolini e Pino Pelosi,
"diciassettenne legato al mondo della prostituzione maschile" (come
si legge su "L'Italia del '900 - 1972 - 1975" di Enzo Biagi in
collaborazione con Loris Mazzetti, Rizzoli, Milano, 2007, pag. 219), aveva
confessato di essere l'assassino.
Io frequentavo la quarta ginnasio. La mia insegnante di lettere ce ne parlò
e ci invitò a leggere quotidiani e riviste per documentarci sull'argomento. Già
da allora emergevano forti dubbi e interrogativi su quello che potesse essere
davvero accaduto. Tuttavia ciò che, soprattutto su certa stampa, si tendeva a
mettere in evidenza, erano le abitudini sessuali di Pasolini. Non la sua
lucidità e la sua perspicacia intellettuale.
Lo confesso. Io, all'epoca, non leggevo molto i quotidiani, se non la "Gazzetta"
locale. Ugualmente, tra i settimanali, mi informavo su "Famiglia
Cristiana", "Gente", "Oggi" e (mi vergogno un po' ad
ammetterlo adesso, ma è così) "Bolero telefilm", ovvero i giornali
che trovavo in casa mia.
Così, quando l'insegnante ci assegnò un tema di attualità sull'argomento ed
io, alla luce delle mie fonti, scrissi che, in fondo, bisognava compatire
Pasolini perché era malato di omosessualità, mi ritrovai con il compito
corretto dall'insegnante che, a margine di tale affermazione, aveva scritto, in
rosso e a caratteri cubitali: "Non è provato che l'omosessualità sia una
malattia, può essere una libera scelta dell'individuo che asseconda una sua
naturale tendenza!".
Restai confusa. Per qualche mese non mi interessai più della questione,
anche se, studiando, scoprivo man mano che molti grandi personaggi della storia
avevano questa malattia o tendenza, come affermava la mia insegnante: Leonardo da
Vinci, Michelangelo, Alessandro Magno, ecc..
Non solo: nell'antichità greca e romana il rapporto più sublime e nobile era
considerato proprio quello tra due uomini e non quello tra un uomo e una donna,
che si accoppiavano spesso solo per procreare.
Accadde poi che qualche mese più tardi, era la primavera del 1976, il
collettivo studentesco organizzò un incontro pomeridiano sull'omosessualità
all'interno del nostro istituto. Oltre al preside e agli insegnanti, erano
presenti esperti e si annunciava anche la presenza di chi avrebbe fornito la
propria testimonianza in proposito.
Come molti, anch'io avevo in mente la macchietta tipica dell'omosessuale:
una persona effeminata, volutamente provocatoria e anche un po' ridicola e
patetica. Mi aspettavo fosse così la persona che avrebbe parlato della sua
esperienza.
Con meraviglia invece scoprii che proprio il giovane uomo più bello e più
"maschio", quello che tutte le ragazze avevano notato al suo
ingresso, quello che pensavamo fosse un medico o uno psicologo appetibile (non
aveva la fede!) era una "checca".
Esordì proprio così: "Salve, mi chiamo Mario e sono una checca."
Proseguì con il racconto della sua vita, quello di chi si sente rifiutato in
primo luogo dai genitori ovvero da chi dovrebbe amarlo per quello che è e non
per quello che vorrebbe che fosse. E poi una vita ai margini, con il terrore e
l'angoscia di chi non riesce e non può essere sé stesso. E allora la
frequentazione di certi ambienti marginali e squallidi diventa quasi una
necessità, come se ci si volesse punire per la propria diversità, per la
propria "malattia". Un dramma individuale, prima che un dramma
sociale. Soprattutto perché non ci si sente compresi. Soprattutto perché c'è
chi si ostina a dire che si può guarire. O che ci si deve tenere, senza
ostentare o fingendo, la propria diversità. Come se la diversità fosse una
colpa anziché una ricchezza, un'occasione di confronto per sfuggire
all'omologazione.
Questo ho imparato in quel pomeriggio del 1976.
Ho imparato che rispettare gli altri significa rispettare la loro libertà.
Un bene prezioso che tutti hanno il diritto di esercitare senza ledere la
libertà altrui.
(Post già pubblicato il 6 febbraio 2009 sulla piattaforma Splinder)