giovedì 29 novembre 2012

Logica, caso e superstizioni

"Non si può estrarre la logica dal caso" (Luigi Pirandello: "Il fu Mattia Pascal", 1904).
Non si possono confondere causalità e casualità.
Non possiamo far sì che l'Illuminismo sia passato invano.
Se, nonostante anni di studio e approfondimento, si continua a farsi oscurare la mente dalle tenebre dell'ignoranza e della superstizione, non c'è speranza di riscatto. E si sarà sempre ricattabili da chi vuol far credere che può dominare la vita (e la morte) di ciascuno di noi.
Ecco perché oggi, con gli studenti di quinta, sono uscita fuori dai gangheri. Ho avuto l'impressione di aver parlato invano in questi anni.
Delusa, frustrata, amareggiata. Mi sono sentita così. Le mie lezioni non sono servite proprio a nulla. Peccato!
Peccato dover sentire, nel 2012, che c'è chi, con un livello di istruzione superiore quasi raggiunto (almeno sulla carta) pretende di insegnare verità vissute sulla propria pelle, senz'altro, ma male interpretate: malocchi, fatture, demoni e streghe che gestiscono, grazie ai loro presunti poteri, la vita di chi non ne è dotato.
"Non ci posso credere!" Esclamerebbe la mia studentessa di qualche anno fa.
E anch'io non volevo crederci. E a un certo punto ho zittito, anche piuttosto bruscamente, chi continuava a parlare a scuola, in un luogo sacro, perchè destinato all'apprendimento e all'apertura della mente, di dicerie e fantasticherie di carattere prettamente medioevale. Nel 2012 (quasi 2013) d.C.. Non nel 1012 o 1013...
Che tristezza...

lunedì 12 novembre 2012

Canzoni da stiro

Tra i CD che adoro collezionare, c'è una nutrita schiera di quelli che contengono, come io le definisco, "canzoni da stiro". Si tratta sostanzialmente di canzonette degli anni '60 e, soprattutto, '70, che pochi ricordano e che periodicamente, a volte, vengono rievocate in trasmissioni televisive quali "I migliori anni" o "Meteore".
Gli interpreti e gli autori sono spesso, ai più, sconosciuti. Gruppi come i "Romans", gli "Homo Sapiens", "La bottega dell'arte" o le "Ciliegie amare"; interpreti come Michele Pecora, Sandro Giacobbe, Alan Sorrenti, Roberto Soffici o Viola Valentino.
L'aspetto bizzarro è che, trent'anni fa, quando queste canzoni venivano trasmesse da alcune radio locali "regional popolari", io le detestavo. Ma la nostalgia, che fa apparire migliore alcuni aspetti del passato, mi spinge ad acquistare queste canzoncine e ad ascoltarle quando stiro.
Ecco perché le definisco "le mie canzoni da stiro". Sistematicamente svolgo tale attività casalinga accompagnandola con quella che ritengo essere la sua adeguata colonna sonora. E spesso, perché no?, emulo la "donna" di "Ti amo" di Umberto Tozzi (1977) "che stira cantando".
"Parlerò di te nelle mie canzoni / Parlerai di me, delle nostre emozioni / L'emozione un giorno ti fa ricordare / E non sai scordare / Il sorriso suo / Quello che era mio / Ciò che ho perso /
Era lei / Poesie d'estate / Era lei / Dimenticate / Era lei / Nel fumo di una sigaretta lei / Era lei / Nei giorni allegri / Era lei / Nei gesti pigri / Era lei / Nel rosso di un tramonto c'era lei / Solo lei." (Michele Pecora: "Era lei", disco estate 1979, in " 1977 - 2007 I successi di Michele Pecora, Produzione Lontano Record, Distribuzione DELTADISCHI")
‎(Già pubblicato sulla piattaforma Splinder il ‎29 ‎marzo ‎2009) 

domenica 11 novembre 2012

Cultura dominante (2) e cammelli

Di quella cultura dominante di cui si parla nel post precedente, mi sono nutrita fin dall'infanzia, per metterla in discussione negli anni del liceo.
Mio padre, ormai ottantenne, è un modello di uomo tradizionalista, per quanto sia, nonostante tutto, un poco più aperto di quanto non lo fossero o lo siano gli altri uomini della sua famiglia d'origine (anche coloro che attualmente hanno meno di trent'anni!)
Insomma, mio padre ha sempre ritenuto che non fosse cosa buona e giusta che una donna fosse molto istruita, un semplice diploma era anche abbondante. Una donna istruita è una donna che non piace agli uomini e difficilmente riuscirà a trovare un buon marito.
Ecco, il cruccio di mio padre era questo: nessun uomo, visto il mio caratteraccio e quella vis polemica, diventata man mano più raffinata grazie agli studi classici, mi avrebbe sposato.
Forse temeva di dovermi sopportare, tenendomi in casa per tutta la vita, avendo a che fare con i ragionamenti raffinati che da quando ho 14 anni diventano presto motivo di litigio tra noi, mentre mia madre tenta di mediare, implorandomi di non provocarlo, di non rispondere.
E io invece rispondo, come ho sempre fatto, sin da quand'ero una adolescente ribelle e "femminista" come egli, con disprezzo, mi definiva. Sosteneva che una donna deve rispetto al marito, sottomettendosi, naturalmente, e non permettendosi di rispondergli. Bisognava ricorrere un po' alla menzogna e alle arti seduttive tipicamente femminili per trovare un marito, diceva lui. "Non devi dire la verità, devi un po' imbrogliare, come sanno fare le donne, altrimenti, mettitelo in testa, scapperanno tutti!"
Non lo ascoltavo, nè avrei potuto farlo, convinta che nessuna sana relazione, anche solo amicale, si costruisce sulla menzogna, sull'apparenza, sulla falsità.
Quando gli ho presentato quello che sarebbe diventato mio marito, quasi non credeva ai suoi occhi. E per quanto non lo amasse molto (troppo diverso da lui, praticamente opposti) in cuor suo, a mio avviso, ha esultato come a me è capitato di fare quando l'Inter ha vinto la Champions League.
Mio padre ha sempre avuto difficoltà a capire le logiche che portavano mio marito a "sopportarmi", secondo quelli che sono i suoi parametri.
E qualche anno fa, forse perché l'età più anziana induce le persone a dire esattamente quello che pensano, proprio come fanno i bambini, ha evidenziato il suo punto di vista, che a me, a dire il vero, era già abbastanza chiaro.
E' accaduto durante le vacanze natalizie, durante o dopo, non ricordo bene, uno di quei lunghissimi pranzi che nella tradizione meridionale scandiscono i giorni tra Natale e Capodanno.
Improvvisamente, forse seguendo un suo pensiero, guardando me e il marito, mio padre ha esclamato: "Certo, tu (rivolgendosi a me) probabilmente l'avrai sposato per interesse, ma lui invece ti ama davvero, si vede proprio, e tu non lo ami come ti ama lui!"
Dopo un momento di gelo, seguito alle considerazioni paterne, mia madre l'ha guardato. "Ma che dici?!?!" ha esclamato. "Ma come ti permetti?" ho risposto io, piccata. Il tutto mentre il marito, cui per fortuna non manca il senso dell'umorismo, si sbellicava dalle risate insieme a mio fratello, commentando che nemmeno sua madre sarebbe stata capace di una simile e audace affermazione.
Non è finita qui. Qualche ora dopo, mentre commentavamo le abitudini berbere secondo cui un uomo che chiede in sposa una donna deve portare in dote al padre un certo numero di cammelli, mio padre, rivolgendosi al marito, ha esclamato: "Sono io che devo dare a te i cammelli!"
(Già pubblicato sulla piattaforma Splinder il ‎4 ‎luglio ‎2010) 

Cultura dominante (1)

"Le donne sono donne per struttura fisiologica; fin dal più remoto passato furono subordinate all'uomo; la loro subordinazione non è la conseguenza di un fatto o di uno sviluppo, essa non è avvenuta. [...]
[...] l'azione delle donne non è mai stata altro che un movimento simbolico: esse hanno ottenuto ciò che gli uomini si sono degnati di concedere e niente di più, non hanno strappato niente, hanno ricevuto. Il fatto è che non hanno i mezzi concreti per raccogliersi in una unità in grado di porsi, opponendosi. Le donne non hanno un passato, una storia, una religione [...]. Le donne vivono disperse in mezzo agli uomini, legate ad alcuni uomini - padre o marito - più strettamente che alle altre donne; e ciò per vincoli creati dalla casa, dal lavoro, dagli interessi economici, dalla condizione sociale. [...] Il legame che la unisce ai suoi oppressori non si può paragonare ad alcun altro. La divisione dei sessi è un dato biologico, non un momento della storia umana. La loro opposizione si è delineata entro un "mitsein" originale e non è stata infranta. La coppia è un'unità fondamentale le cui metà sono connesse indissolubilmente l'una all'altra. Nessuna frattura della società in sessi è possibile. Ecco ciò che essenzialmente definisce la donna: essa è l'Altro nel seno di una totalità, i cui due termini sono indispensabili l'uno all'altro. [...]
[...] la donna è sempre stata, se non la schiava, la suddita dell'uomo; i due sessi non si sono mai divisi il mondo in parti uguali e ancora oggi, nonostante la sua condizione stia evolvendosi, la donna è grandemente handicappata. Si può dire che in nessun paese l'uomo e la donna hanno una condizione legale paritetica e spesso la differenza va a duro svantaggio della donna. Anche se astrattamente le sono riconosciuti dei diritti, una lunga abitudine impedisce che essi trovino nel costume la loro espressione concreta. [...] Oltre la forza concreta, posseggono un prestigio del quale l'educazione dell'infanzia tramanda la tradizione: il presente assorbe il passato, e nel passato la storia è stata fatta dai maschi. Nel momento in cui le donne cominciano a prender parte all'elaborarsi dei fatti umani nel mondo, si trovano davanti a un mondo che appartiene ancora agli uomini; i quali non mettono in dubbio i propri diritti, mentre le donne incominciano appena a farlo."
Tratto da: Simone de Beauvoir: "Il secondo sesso", Traduzione di Roberto Cantini e Mario Andreose, Il Saggiatore, 1994, Pgg. 18 -20. (Prima edizione in lingua originale: Gallimard, Paris, 1949)
(‎Già pubblicato sulla piattaforma Splinder giovedì ‎1 ‎luglio ‎2010)

Il "lider maximo"

Non era uno solo, il "lider maximo".
Ce n'era almeno uno per ogni istituto superiore (a volte un paio, in competizione tra loro).
Le ragazzine del primo anno li adoravano e pendevano direttamente dalle loro labbra.
Loro ne approfittavano per la diffusione dei quotidiani e delle riviste legate solitamente al P.C.I. o alla sinistra extraparlamentare.
C'erano giovani adolescenti disposte a privarsi della merenda pur di trovare l'occasione per parlare con loro, con i leader, i capi di quella rivoluzione ancora in atto che presto sarebbe scemata e sopraffatta dal riflusso degli anni '80.
E quale occasione migliore per contattarli, solitamente prima o dopo le lezioni o durante l'intervallo, e chiedere loro di acquistare il quotidiano o le riviste di controinformazione?
C'erano anche quelle disposte a sacrificare altro, non solo la merenda.
E anche qui il "lider maximo" approfittava.
In barba al femminismo imperante dell'epoca (si era intorno alla metà degli anni Settanta), le dinamiche erano sempre le stesse. Le donne non più ritrose ma sfacciate. Gli uomini che prendevano ciò che c'era da prendere. Tutti liberati, più o meno.
Nella percezione generale, però, il "lider maximo" passava per "figo" (mi sia concesso il termine), mentre la ragazzina liberata passava per poco di buono (e qui non ho osato il termine, ma è comunque quello!)
(Già pubblicato sulla piattaforma Splinder il ‎26 ‎luglio ‎2010)