Non era uno solo, il "lider maximo".
Ce n'era almeno uno per ogni istituto superiore (a volte un paio, in
competizione tra loro).
Le ragazzine del primo anno li adoravano e pendevano direttamente dalle loro
labbra.
Loro ne approfittavano per la diffusione dei quotidiani e delle riviste
legate solitamente al P.C.I. o alla sinistra extraparlamentare.
C'erano giovani adolescenti disposte a privarsi della merenda pur di trovare
l'occasione per parlare con loro, con i leader, i capi di quella rivoluzione
ancora in atto che presto sarebbe scemata e sopraffatta dal riflusso degli anni
'80.
E quale occasione migliore per contattarli, solitamente prima o dopo le
lezioni o durante l'intervallo, e chiedere loro di acquistare il quotidiano o
le riviste di controinformazione?
C'erano anche quelle disposte a sacrificare altro, non solo la merenda.
E anche qui il "lider maximo" approfittava.
In barba al femminismo imperante dell'epoca (si era intorno alla metà degli
anni Settanta), le dinamiche erano sempre le stesse. Le donne non più ritrose
ma sfacciate. Gli uomini che prendevano ciò che c'era da prendere. Tutti
liberati, più o meno.
Nella percezione generale, però, il "lider maximo" passava per
"figo" (mi sia concesso il termine), mentre la ragazzina liberata
passava per poco di buono (e qui non ho osato il termine, ma è comunque
quello!)
(Già pubblicato sulla piattaforma Splinder il 26 luglio 2010)
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