martedì 31 gennaio 2012

Educazione ai sentimenti

Si può educare ai sentimenti? E lo si può fare a scuola? Io penso di sì. E ne sono così convinta al punto che spesso dedico un modulo delle mie lezioni all'amore. Del resto, la storia della letteratura e dell'arte non possono prescindere dall'amore. Al di là dei testi classici, soprattutto nelle prime classi, utilizzo spesso, prima o insieme ai testi letterari classici (ad esempio, il canto V dell'Inferno e l'amore passionale e travolgente di Paolo e Francesca; l'amore contrastato e drammatico di "Romeo e Giulietta" nella omonima tragedia di Shakespeare, ecc.) film più o meno recenti (e più o meno accattivanti) dedicati all'argomento.

Mi è capitato così di utilizzare i tre film dal titolo, in Italia, "Il tempo delle mele". Sia chiaro: solo il primo e il secondo film sono tra loro legati e raccontano le vicende di Vic, adolescente alle prese con le prime infatuazioni e i primi innamoramenti.

Il terzo film, come vari dizionari specializzati sottolineano, non ha nulla a che vedere con i primi due a parte l'attrice protagonista, Sophie Marceau.

Ai miei alunni adolescenti sono piaciuti il primo e, soprattutto, il secondo film. Non hanno molto apprezzato invece il terzo film.

Ad essere sinceri, "Il tempo delle mele 3" non è, usando un eufemismo, un capolavoro.

Contiene però, a mio avviso, un'interessante sequenza, la penultima del film, in cui la protagonista, Valentine, sostenendo l'esame finale di abilitazione all'insegnamento, presenta una relazione in cui, analizzando "Il Misantropo" di Moliere, utilizza le sue vicende private per imbastire una lezione sull'opera.

"Per me" dice Valentine, "nelle incoerenze dell’amore trattate da Moliere, amare ciò che non conviene è la molla più sovente utilizzata, perché contiene un impatto drammatico eterno e pone la dolorosa questione della difficoltà di amare.

Amare ciò che non conviene, sorgente di errori e di conflitti, spinge i personaggi alla scelta cruciale dell’amore: la scelta tra l’amore tout court e l’amore di sé. [...]

Moliere solleva ante litteram uno dei problemi fondamentali delle coppie moderne: l’indipendenza della donna.

Ciascuno dei due eroi muove ed anima il suo universo, li confrontano ad armi uguali e questi universi sono irriducibili l’un l’altro.

E questa passione irragionevole che Alceste (il protagonista de "Il Misantropo, n.d.r.) combatte, questa passione è a volte profondamente toccante.

Quando per esempio Alceste, il puro, l’intransigente, il nemico fanatico della menzogna, supplica Celimene (la donna di cui Alceste è innamorato, n.d.r.) di mentirgli.

Atto quarto, scena terza: “Sforzatevi di apparire fedele ed io mi sforzerò di credervi tale”.

Nel quinto atto egli spera ancora di cambiarla ma è una chimera, non si può cambiare un essere e non si ha il diritto di esigere questo cambiamento.

Attraverso delle scuse imbarazzate, nel linguaggio prezioso del XVII secolo, ciò che Celimene vuol far comprendere ad Alceste, ciò che lei vuole dirgli è: “Se mi ami, accetta me come sono perché io non cambierò. Tu accetta me come sono ed io accetterò te come sei”.

Alceste è intransigente, egoista, possessivo. Celimene è leggera, irresponsabile, infedele. Ma se accettassero i loro difetti, se riuscissero a sorridere delle loro differenze sarebbe la vittoria dell’amore sull’amor proprio. Solo che questi sacrifici non sono degni che di un grande amore.

E come si riconosce un grande amore?

Il giorno in cui ci si accorge che l’unico essere al mondo che può consolarvi è quello che vi ha fatto del male, allora si sa che si è una coppia.

“Il Misantropo”: commedia o tragedia?

Monsieur (il fratello del re Luigi XIV, n.d.r.) diceva uscendo da una rappresentazione: “Quando si smette di ridere, bisognerebbe piangere!” ed è vero: assistere al fallimento di un grande amore è terribilmente triste, immaginare i due eroi ricacciati nel deserto della loro solitudine è una desolazione.

Io credo sia questo il messaggio di Moliere giunto a noi attraverso il tempo.

E’ a voi, se permettete, che questo discorso è diretto: c’è qualcuno tra voi che ama abbastanza l’essere che dice di amare da preferire la sua felicità alla propria? Da lasciarlo vivere al suo ritmo, piangere delle sue delusioni, ridere delle sue gioie?

E terminerei con queste parole di Alfred De Musset:

“Tutti gli uomini sono bugiardi, incostanti, falsi, chiacchieroni, ipocriti, orgogliosi e vili, vigliacchi e sensuali. Tutte le donne sono perfide, vanitose, artificiose, curiose, depravate. Ma se c’è al mondo una cosa santa e sublime è l’unione di questi due esseri così imperfetti e vuoti.”

“Non Si Scherza Con L’Amore”, scena seconda, atto quinto."
(Già pubblicato su altra piattaforma il 9 febbraio 2009)

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