lunedì 16 gennaio 2012

vecchi post: "una profe strana"

"Profe, Lei è strana!" - mi dicono ogni tanto gli alunni, dopo essere entrati in confidenza con me, più o meno un paio di mesi dopo il primo nostro incontro in classe.
Naturalmente ogni volta indago. E chiedo in che cosa consista il mio "essere strana".
"Sembra cattiva ma invece è buona" - dicono loro, spiegando che al primo incontro li intimorisco: uso il Lei per rivolgermi loro, ho lo sguardo serio, a volte accigliato, controllo che stiano tutti seguendo, non li lascio ascoltare la loro musica ("Perchè, con gli altri insegnanti succede?" chiedo io. Ahimè, succede...) e li faccio lavorare davvero. "Però poi invece è divertente" e proseguono sostenendo che non si aspetterebbero, date le premesse, una profe che, sfidando le indicazioni del Dirigente Scolastico - fa ascoltare musica in classe, tutti insieme, analizzandone i testi, o discutere su problematiche definite da loro interessanti (lo sono anche per me, chiaramente): stereotipi e pregiudizi nella differenza di genere (tra uomini e donne, per intenderci!), la difficoltà di crescere, l'inquietudine esistenziale (affrontando contemporaneamente lo studio della grammatica e dei classici della letteratura!).
"E poi Lei piange troppo, profe!" e qui, di solito, scoppia il putiferio. "Cosa c'entra che piange! E' una bella cosa!". "Sì, ma una profe seria non piange!". "Per quello è strana!".
Ecco, ora devo ammetterlo pubblicamente: io mi emoziono e, in alcune circostanze, mi commuovo fino alle lacrime: ad esempio, quando leggo il passo dell" "Addio ai monti" o la lirica introduttiva di "Se questo è un uomo", brani tratti da "Lettera a un bambino mai nato" o "Lettera a una professoressa", quando ascolto con loro "Sogna ragazzo sogna" di Roberto Vecchioni o "Non è un film" degli Articolo 31 o quando parlo con loro della vita (e della morte).
Piango tanto. All'inizio della mia ventennale carriera non succedeva. Forse perchè ero giovane e disincantata, forse perchè mi vergognavo ed ero meno spudorata, forse perchè non ero così passionale e appassionata. La prima volta accadde mentre leggevo il brano della morte di Clorinda, tratto dalla "Gerusalemme liberata". E poi è stato un crescendo di brividi lungo la schiena (in fondo, l'arte non deve suscitare emozioni?) e lacrime.
I momenti più belli che ricordo sono quelli dei nostri pianti collettivi, con i maschi che si coprivano il viso per non svelare le lacrime ed io che fingevo di non vedere. Come potrò, come potremo dimenticarli? Quegli attimi saranno nostri per sempre.
Per questo sono fiera di essere "strana".

(Già pubblicato su altra piattaforma il 4 agosto 2008)

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