mercoledì 13 febbraio 2013

Tornare

Ogni volta che mi capita di tornare nella regione in cui sono nata e in cui ho passato poco meno di un terzo della mia vita, vengo colta da un senso di estraneità. "Che ci faccio qui?" mi capita di pensare e, contemporaneamente, mi sorprendo a pensare che, in fondo, non c'è nessun luogo in cui vi siano le mie radici.
Nata in Puglia ma portata (o "deportata", come una collega simpatica amava dire a proposito della sua situazione assai simile alla mia) a soli due mesi in Liguria, ho trascorso lì la prima parte della mia esistenza.
Alla Liguria sono tuttora molto legata anche se, già da bambina, c'era chi mi considerava un'estranea. "Napoletana": mi chiamava così qualcuno (da Roma in giù, per qualcuno, tutti sono "napoletani") ed io sentivo il peso dell'essere "diversa".
Quando, a dodici anni, la mia famiglia ritornò nella regione d'origine dove io ero nata, scoprii che anche lì mi consideravano un'estranea. Non conoscevo e non capivo il dialetto, avevo abitudini differenti. In sintesi, anche lì ero considerata diversa. Inoltre, non apprezzavo nulla di quei luoghi (le spiagge della mia amata Liguria erano belle, anche e soprattutto perchè circondate dalle colline) e mal tolleravo la faciloneria e l'invadenza dei più, che veniva definità simpatia e disponibilità. Per me, taciturna e riservata, non era così.
Cominciai allora a pensare che, appena ne avessi avuto la possibilità, sarei andata via. In Liguria, possibilmente, o in qualunque altro luogo purché fosse più confacente a me stessa. Ero ormai consapevole che sarei sempre rimasta comunque un'estranea o, almeno, senza radici.
Quando, più di un quarto di secolo fa, arrivai a Bergamo, città in cui tuttora vivo, pensai che fosse adatta a me. Considerata comunque in principio un'immigrata "terrona" per lavoro, mi sorprendevo sempre più a familiarizzare con i colleghi lombardi piuttosto che con i pugliesi, i siciliani, i calabresi, i laziali, etc.
Non mi mancavano e non mi mancano né l'olio buono né le mozzarelle di bufala né i pomodori "come i nostri".
Insomma, a Bergamo sto davvero bene. Adoro le sue Mura e la sua bellezza, il suo cielo terso dopo una nevicata o dopo la pioggia, la sua efficienza. L'ho adottata come mia città (o Bergamo ha adottato me).
 
Così,  benché mi dispiaccia, tutte le volte che riparto dalla Puglia, lasciar lì i miei ormai anziani genitori e gli amici cui sono più profondamente legata, penso sempre che ogni volta, in fondo, mi pesa tanto tornarvi.
(Rielaborazione di un vecchio post già pubbl‎icato sulla piattaforma Splinder il 17 ‎gennaio ‎2009)

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