martedì 29 aprile 2014

Rosa


Aveva il nome di un fiore. Mi colpi per la sua esuberanza, la sua vivacità, la sua simpatia.
Io frequentavo il terzo liceo, lei si era appena iscritta al quarto ginnasio ma fu impossibile non notarla. Cominciai a frequentarla, nonostante i cinque anni che ci dividevano e che allora sembravano un'infinità, l'anno successivo, quando io ero già all'università e lei aveva appena finito l'anno scolastico. Mi presentò quella che sarebbe diventata, per qualche anno, una delle mie più care amiche.
Con lei, con Rosa, eravamo sì amiche ma non così confidenti. Mi divertiva tanto e mi sorprendeva il modo in cui riuscisse, nonostante gli affanni che la vita le aveva riservato, ad essere sempre ottimista e sorridente.
La sua mamma era morta quando ella aveva solo otto anni e lei viveva con il padre, il nonno, il fratello e un cagnolino bianco cui io, per la mia esagerata ed incontrollabile paura dei cani, mi avvicinavo sempre con timore.
"Mi hai salvato la vita!" mi disse, riconoscente, il giorno in cui io, istintivamente, le avevo afferrato, quasi strattonandola, il bavero del cappotto per impedire che finisse sotto un'auto mentre attraversavamo la strada.
Ma, evidentemente, il suo destino era quello di andarsene precocemente.
Scoprì di essere ammalata. Lottò con tutte le sue forze e continuò ad affrontare la vita e la chemioterapia con lo stesso entusiasmo e lo stesso ottimismo che aveva da ragazzina. Lo faceva per sè, per i suoi figli, per il marito, per quanti le volevano bene.
Io non la frequentavo più da anni ma ricevevo sue notizie dalla mia migliore amica. Fui felice quando quest'ultima mi disse che sì, le cure stavano avendo effetto, Rosa era guarita.
Fu un'illusione. Nel novembre 2007 Rosa se n'è andata. Non aveva ancora quarant'anni.
Per me rimane la ragazzina entusiasta e serena che mi guarda da una foto in bianco e nero scattata e sviluppata dal nostro amico comune appassionato di fotografia. Siamo sulla soglia di uno dei più importanti alberghi della cittadina in cui vivevamo, al centro c'è Mike D'Antoni che all'epoca giocava nella Billy di Milano e che quel pomeriggio avrebbe affrontato la squadra locale di basket.
Rosa aveva preso sottobraccio con naturalezza D'Antoni, incuriosito e disponibile. "Io voglio stare vicino a lui!" aveva immediatamente preteso.
Intorno poi ci siamo tutti noi, il nostro piccolo gruppo di amici che per qualche anno aveva attraversato insieme, tra sorrisi e tristezze, gli anni difficili dell'adolescenza e della prima maturità.

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