La mia insegnante di italiano del liceo mi chiamava così: "il
Monti".
"Chiediamo al "Monti"" diceva, rivolgendosi ironicamente
a me.
Sosteneva che fossi una voltagabbana, pronta a salire sempre sul carro del
vincitore, proprio come l'illustre letterato che lei detestava.
Non ero e non sono una voltagabbana. E quel soprannome mi indignava molto.
Rivendicavo e rivendico il diritto di cambiare opinione e pretendo di non
essere condizionata dal gruppo di appartenenza. Rivendicavo e rivendico il
diritto di essere un "cane sciolto".
Fanno paura i cani sciolti. Liberi, senza un padrone, chi può controllarne
le gesta dato che non sono addomesticati? Meglio chiamare subito
l'accalappiacani.
O umiliarli, insultarli, degradarli.
Come faceva la mia insegnante maonista (e forse anche un po' stalinista).
Aveva uno sguardo imperscrutabile. Noi studenti, però, durante le
interrogazioni, quando ci guardava avevamo l'impressione che pensasse:
"Questo qui è proprio scemo!".
Non sono mai riuscita a capire che cosa realmente pensasse di me finchè un
giorno, all'inizio del terzo liceo, restituendomi il compito su Manzoni in cui
mi aveva dato "cinque e mezzo", mi chiese:
"Che cosa è successo? Ti ho trovato davvero poco ispirata! Non è il tuo
solito tema, non è la tua scrittura".
Le risposi che Manzoni non mi piaceva per niente.
Quel voto, in effetti, era il voto più basso che lei avesse mai assegnato a
un mio tema. Di solito prendevo tra il sei e il sette. Mai di più. Oltre il
sette e mezzo o l'otto (appannaggio esclusivo della più brava della classe) lei
non andava mai.
Quel giorno pensai che, in fondo, le piaceva come scrivevo.
La sorpresa piacevole arrivò solo agli esami di maturità. Mi guardò fiera
mentre il presidente della commissione, un insegnante di italiano, si
complimentò con me per aver svolto uno dei migliori temi di letteratura tra
tutti gli studenti dell'istituto.
Era il 14 luglio del 1980.
Da allora non ho più visto la mia insegnante del liceo.
Mi ha "fatto tribolare", come sono soliti dire i miei attuali
studenti, ma io le sono davvero grata. Mi ha insegnato tanto. L'ho apprezzata,
stimata, adorata.
Ancora, nei primi anni di insegnamento, soprattutto quando mi erano state
assegnate delle classi difficili, sognavo spesso di entrare in classe e
scoprire di essere ancora al liceo e di dover essere interrogata da lei, dalla
mia insegnante di italiano.
Che mi aveva insegnato ad essere forte, proprio con la sua ironia. Mi aveva
insegnato a credere e a difendere le mie opinioni. A costo di essere
ridicolizzata.
(Post già pubblicato sulla piattaforma Splinder il 24 marzo 2010)
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