domenica 11 novembre 2012

Cultura dominante (2) e cammelli

Di quella cultura dominante di cui si parla nel post precedente, mi sono nutrita fin dall'infanzia, per metterla in discussione negli anni del liceo.
Mio padre, ormai ottantenne, è un modello di uomo tradizionalista, per quanto sia, nonostante tutto, un poco più aperto di quanto non lo fossero o lo siano gli altri uomini della sua famiglia d'origine (anche coloro che attualmente hanno meno di trent'anni!)
Insomma, mio padre ha sempre ritenuto che non fosse cosa buona e giusta che una donna fosse molto istruita, un semplice diploma era anche abbondante. Una donna istruita è una donna che non piace agli uomini e difficilmente riuscirà a trovare un buon marito.
Ecco, il cruccio di mio padre era questo: nessun uomo, visto il mio caratteraccio e quella vis polemica, diventata man mano più raffinata grazie agli studi classici, mi avrebbe sposato.
Forse temeva di dovermi sopportare, tenendomi in casa per tutta la vita, avendo a che fare con i ragionamenti raffinati che da quando ho 14 anni diventano presto motivo di litigio tra noi, mentre mia madre tenta di mediare, implorandomi di non provocarlo, di non rispondere.
E io invece rispondo, come ho sempre fatto, sin da quand'ero una adolescente ribelle e "femminista" come egli, con disprezzo, mi definiva. Sosteneva che una donna deve rispetto al marito, sottomettendosi, naturalmente, e non permettendosi di rispondergli. Bisognava ricorrere un po' alla menzogna e alle arti seduttive tipicamente femminili per trovare un marito, diceva lui. "Non devi dire la verità, devi un po' imbrogliare, come sanno fare le donne, altrimenti, mettitelo in testa, scapperanno tutti!"
Non lo ascoltavo, nè avrei potuto farlo, convinta che nessuna sana relazione, anche solo amicale, si costruisce sulla menzogna, sull'apparenza, sulla falsità.
Quando gli ho presentato quello che sarebbe diventato mio marito, quasi non credeva ai suoi occhi. E per quanto non lo amasse molto (troppo diverso da lui, praticamente opposti) in cuor suo, a mio avviso, ha esultato come a me è capitato di fare quando l'Inter ha vinto la Champions League.
Mio padre ha sempre avuto difficoltà a capire le logiche che portavano mio marito a "sopportarmi", secondo quelli che sono i suoi parametri.
E qualche anno fa, forse perché l'età più anziana induce le persone a dire esattamente quello che pensano, proprio come fanno i bambini, ha evidenziato il suo punto di vista, che a me, a dire il vero, era già abbastanza chiaro.
E' accaduto durante le vacanze natalizie, durante o dopo, non ricordo bene, uno di quei lunghissimi pranzi che nella tradizione meridionale scandiscono i giorni tra Natale e Capodanno.
Improvvisamente, forse seguendo un suo pensiero, guardando me e il marito, mio padre ha esclamato: "Certo, tu (rivolgendosi a me) probabilmente l'avrai sposato per interesse, ma lui invece ti ama davvero, si vede proprio, e tu non lo ami come ti ama lui!"
Dopo un momento di gelo, seguito alle considerazioni paterne, mia madre l'ha guardato. "Ma che dici?!?!" ha esclamato. "Ma come ti permetti?" ho risposto io, piccata. Il tutto mentre il marito, cui per fortuna non manca il senso dell'umorismo, si sbellicava dalle risate insieme a mio fratello, commentando che nemmeno sua madre sarebbe stata capace di una simile e audace affermazione.
Non è finita qui. Qualche ora dopo, mentre commentavamo le abitudini berbere secondo cui un uomo che chiede in sposa una donna deve portare in dote al padre un certo numero di cammelli, mio padre, rivolgendosi al marito, ha esclamato: "Sono io che devo dare a te i cammelli!"
(Già pubblicato sulla piattaforma Splinder il ‎4 ‎luglio ‎2010) 

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